Articoli e Interventi >> Non solo soldi per rilanciare il Sud
 
Uno dei grossi errori che, a nostro avviso, si commette quando si pensa allo sviluppo del Mezzogiorno ed alla riduzione dei divari  tra Nord e Sud del Paese, è quello di inquadrarlo, prioritariamente, in chiave di risorse finanziarie aggiuntive.
La causa principale, invece, a nostro avviso, è da ricercare nella mancanza di una responsabilità politica collettiva  che non ha consentito di costruire, a livello nazionale, un piano generale, unitario e condiviso, all'interno del quale il Mezzogiorno sarebbe dovuto essere collocato come parte integrante e portatore di una grande forza competitiva, attraverso lo sviluppo del suo potenziale endogeno, in relazione alle diversità e specificità delle regioni meridionali.
Purtroppo, basta ricordare le “furbizie istituzionali” perpetrate nel  contesto dei cosiddetti piani e programmi per il Mezzogiorno, da parte della politica pubblica, per meglio capire il costante fallimento degli stessi. 
Infatti,  ogni qualvolta venivano stanziate risorse straordinarie per il Sud, automaticamente venivano ridotte quelle ordinarie; lo stesso dicasi per le risorse comunitarie.
L’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea con una economia duale sempre più marcata e nel quale il divario tra il Nord ed Sud del Paese, non solo non si è ridotto, durante la vigenza dell’intervento straordinario (nazionale e comunitario) ma, in questi ultimi anni, come sottolineato dai vari Rapporti Svimez, è persino aumentato in maniera preoccupante.
Se fotografiamo, oggi, le regioni del Mezzogiorno, possiamo facilmente osservare che, a parte qualche “oasi”, ci troviamo di fronte ad un territorio sovvenzionato, marginalizzato, privo di grandi “attrattori” in grado di stimolare processi di sviluppo autopropulsivo, con un settore secondario decisamente marginale rispetto a quello dei servizi (alimentato e sovrabbondante), la prevalenza di una prassi economica caratterizzata da un atteggiamento parassitario, incline a ricevere passivamente, e da una patologica dipendenza nei confronti della fornitura di risorse provenienti dall’esterno. 
Se, a queste grosse criticità, aggiungiamo la cronicizzazione della lentocrazia e la presenza sempre più forte del crimine organizzato, non possiamo immaginare di risolvere i problemi del Mezzogiorno, solo iniettando, periodicamente, del danaro.
Analizzando la storia che ha caratterizzato, le varie Conferenze delle Regioni meridionali, i tanti  incontri tra Governo e Regioni, tra Governo e Sindacati e tra Governo e Confindustria, troviamo il tutto ed il contrario di tutto: mega e micro programmi, puntualmente sgonfiati ed archiviati, in particolare, a causa della incoerenza degli stessi, in termini di contenuti,  e di instabilità politica dei governi nazionali e regionali che provocavano, puntualmente, una soluzione di continuità nel percorso che veniva faticosamente intrapreso.
La stessa cosa, probabilmente, succederà con “il Piano per il Sud”, enfatizzato dal Presidente Renzi, subito dopo l’allarme lanciato dalla Svimez, e, probabilmente, morto e sepolto prima di nascere.
Naturalmente, siamo pronti a ricrederci se si riuscirà ad impostare un metodo di lavoro nuovo, attraverso il quale sviluppare una forte complementarità, e se necessario delle interdipendenze, tra tutte le altre risorse che, a vario titolo, sono destinate ai territori meridionali (fondi a destinazione vincolata, finanziamenti derivanti da programmi comunitari, straordinari ed ordinari, sia a livello centrale che a livello regionale e locale).
Per fare questo, però, occorrerebbe istituzionalizzare un "tavolo-paniere" nel, quale dare visibilità, nella piena trasparenza, alle risorse disponibili  ed alle relative fonti di finanziamento,  per evitare la riproposizione  di fondi già assegnati,  in precedenza, a vario titolo, e non ancora spesi.
Ricordiamo che questo modo di fare, da parte dei Ministeri e degli Enti di Stato,  era diventata una costante, durante i confronti tra Stato,  Regioni ed Enti Locali, quando si facevano  "resuscitare" piani e programmi, a vario titolo, non attuati in precedenza, ma riproposti, per l’occasione, come grandi novità strategiche per lo sviluppo d'area.
A parte gli aspetti finanziari, quindi, occorrono altre condizioni di base perché si possa dare ad un Piano per il Sud la forza e la propulsione necessarie per poter voltare pagina, definitivamente.
Ci riferiamo, in particolare,  alla necessità di una migliore cultura di rete, tra i diversi attori chiamati a gestire le varie fasi del piano (rafforzamento della governance multilivello) al rafforzamento del processo di consultazione, allo snellimento delle procedure di partenariato, alla velocizzazione della spesa ed al miglioramento della sua qualità,  alla semplificazione delle procedure amministrative ed al rafforzamento dei controlli, in particolare, contro le infiltrazioni mafiose.
Un’altra questione difficile da risolvere è quella della riduzione  dei tempi di elaborazione e realizzazione dei progetti, in termini di opere pubbliche.
Nell'ultima relazione dell’Autorità di vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture Infrastrutturali (oggi Agenzia Anticorruzione) si sottolineava, infatti,  che, in molti casi, sono occorsi, circa 10 anni  per la realizzazione di opere di entità superiore ai 10 milioni di euro ed oltre 1.500 giorni tra la data per la progettazione esterna e la data di aggiudicazione dei lavori: ritardi che mal si conciliano con le regole comunitarie nella realizzazione dei programmi dei fondi strutturali.
Inoltre, se si vuole, realmente, togliere il freno allo sviluppo del Mezzogiorno, bisogna rafforzare le cosiddette azioni di sistema per dare spinta e propulsione alle specificità  e peculiarità delle regioni meridionali che potrebbero apportare un notevole valore aggiunto alla crescita di tutto il Sistema Italia ed al rafforzamento della sua competitività, a livello internazionale.
La grande questione è: esiste una reale volontà, per far decollare il Mezzogiorno?
Per il momento, come in altri periodi, registriamo i buoni propositi e gli ottimi suggerimenti  da diverse parti: credito d’imposta, contratti di sviluppo, garanzie per favorire l’accesso al credito, voucher per l’internazionalizzazione, specializzazione e formazione del personale, migliore qualità dei servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione, revisione degli incentivi, priorità alla ricerca ed all’innovazione, migliore utilizzo dei fondi comunitari, inserimento delle energie giovanili nella conduzione d’impresa, valorizzazione dei comparti più sensibili per lo sviluppo d’area, aumento della spesa pubblica in conto capitale e così via.
E chiaro che la grande responsabilità per una buona riuscita di un simile progetto appartiene, in gran parte, a tutti gli attori che vivono ed agiscono nel Mezzogiorno, sia a livello istituzionale che a livello di società civile.
Smettiamola di prendercela sempre  e solo con gli altri.
Smettiamola di piangerci addosso: la proattività, la legalità, il rispetto delle regole, la cultura di rete e la voglia di crescere insieme devono essere i pilastri  del nostro vivere comune; e forse, ce la potremmo fare.
 
Vincenzo Falcone
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