Articoli e Interventi >> Calabria, la velocità immobile
 
intervista di Fabio Guarna/ “Il Quotidiano della Calabria”, 19 marzo 2013

Vincenzo Falcone, giunto all'età in cui le ferie non finiscono mai (ha 66 anni, vive a Catanzaro ed è nato a Zagarise), ha deciso, da qualche tempo, di dedicarsi alla scrittura.
Falcone è un tecnico che per decenni è stato un funzionario importante della Regione Calabria (dalla nascita dell'istituto regionale (1970) fino al finire degli anni 2000) per diventare sottosegretario (nominato dall'esterno) della giunta Loiero.
Con esperienza anche in campo accademico (docente di Politica Economica dell'Unione Europea dal 2006 al 2012 all'Università Magna Grecia di Catanzaro), Falcone per oltre 10 anni è stato a Bruxelles, con l’incarico di Segretario Generale presso l’Unione Europea, ed è considerato, da molti, una delle personalità più preparate in Calabria in materia comunitaria.
Per farla in breve si potrebbe dire che Falcone è un tecnico, laureato alla Bocconi (Monti docet) finito, per caso e per breve tempo, in politica.
Nel suo libro, non fa sconti a nessuno, passando in rassegna le varie giunte dal 1970 all'epoca dei governatori, attraverso anche un’analisi approfondita di tutti i documenti politico-programmatici che hanno dato vita ai molti esecutivi che si sono succeduti nell’arco dei 42 anni che hanno caratterizzato il regionalismo in Calabria.
Il titolo del libro è abbastanza eloquente: Calabria, la velocità immobile".
L’idea dell’autore era stata, dapprima, quella di trattare la politica di governo della Calabria dall’avvio del regionalismo (1970) ad oggi. “Successivamente - racconta – mi sono reso conto che, probabilmente, per poter meglio spiegare i continui fallimenti di tale processo ed il grado di responsabilità degli attori interessati, sarebbe stato necessario, preliminarmente, fare seppur brevemente qualche passo indietro nei secoli per capire i mali antichi consolidati nel tempo, i quali non hanno permesso alla Calabria, o meglio alle Calabrie,  di avere una propria storia istituzionale e, nello stesso tempo, di permettere la crescita di una società civile matura ed organizzata”.

Perché ha deciso di scrivere questo libro?

L’obiettivo di questo  lavoro  non è stato quello di scrivere una storia della Calabria dalle origini ai giorni nostri (questo lo lasciamo agli storici), ma quello di individuare ed analizzare, nel tempo,  i vari contesti che sono stati alla base dei vincoli strutturali che hanno rallentato, in modo significativo, la crescita della Calabria, particolarmente, in termini economici, sociali e culturali.
Nello stesso tempo, abbiamo tentato di ricercare e spiegare le cause che hanno inibito ad un territorio, come la Calabria, la possibilità di un suo sviluppo, anche in presenza, in alcuni periodi storici, di condizioni favorevoli che avrebbero potuto far dimenticare le grandi barbarie perpetrate, lungo l’arco dei secoli, nei confronti delle popolazioni locali e dell’intera area regionale.

Lo possiamo definire un libro "tecnico" o "politico"?

Se al concetto di politica diamo il suo vero significato di costituzione, organizzazione e amministrazione di un sistema istituzionale e la direzione della vita pubblica, sicuramente questo è un libro cha tratta la politica, ma anche le sue perversioni.
Agli inizi, la mia intenzione era quella di trattare la politica di governo della Calabria dall’avvio del regionalismo (1970) ad oggi.
Successivamente mi sono reso conto che, probabilmente, per poter meglio spiegare i continui fallimenti di tale processo ed il grado di responsabilità degli attori interessati, sarebbe stato necessario, preliminarmente, fare una “passeggiata”, anche se in modo molto sintetico, lungo l’arco dei secoli, per capire come i mali antichi che si sono consolidati nel tempo, non hanno permesso alla Calabria, o meglio alle Calabrie,  di avere una propria storia istituzionale e, nello stesso tempo, di permettere la crescita di una società civile matura ed organizzata. 
Purtroppo, ogni periodo storico, come si potrà leggere nel libro, è stato caratterizzato da una serie di vincoli che ha inibito qualsiasi tentativo di dare a questa regione una propria identità; tentativi, tra l’altro, sporadici e disorganizzati, frutto di eventi singoli ed isolati che, nelle condizioni in cui venivano organizzati, avevano pochissime probabilità di riuscita.
Non a caso il libro è intitolato: “Calabria, la velocità immobile”, un ossimoro che vuole significare come tutto ciò che si è mosso a favore della Calabria e dei calabresi è sempre stata una “finzione”, un passo avanti ed un altro indietro, lasciando invariata ogni possibilità di crescita.

Ci può spiegare meglio questo concetto?

L’escursus storico presentato nella prima parte del libro, dimostra come, dopo il secondo dopoguerra, all’avvio della ricostruzione e dell’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno, il conto che presenta la Calabria per una sua possibile crescita strutturale è molto salato, se si considerano i grandi mali storici che l’avevano afflitta durante i secoli; citiamo per esemplificare: il terrorismo degli invasori, l’oppressione del sistema feudale, l’infedeltà della Chiesa, lo sfruttamento spietato di tutte le sue risorse, in particolare quelle umane, da parte della classe dominante vecchia e nuova, l’isolamento geografico, il brigantaggio, le grandi ondate migratorie.

Però, bisogna riconoscere che, grazie all’intervento straordinario, la Calabria registrò un radicale cambiamento rispetto alla sua arretratezza storica, specialmente in termini di qualità della vita e di realizzazione di molte infrastrutture di base sul suo territorio

Naturalmente, non è certo mia intenzione disconoscere ciò che avvenne nei primi vent’anni dell’intervento straordinario, in termini di miglioramento della qualità della vita dei calabresi, ma tutto ciò, come sottolineava, lo storico Antonio Guarasci, primo presidente della Regione Calabria, “non fece variare la tendenza al richiamo degli elementi produttivi ed all'occupazione, che sono rimasti sempre in Calabria al di sotto delle medie più comuni, per cui gli squilibri sono rimasti ancora elevati".
E questa verità era motivata dal fatto che l’industria del Nord, alla quale i governi nazionali erano molto sensibili, pretendeva che il sud rimanesse, comunque, un un grande serbatoio di manodopera ed una indispensabile fonte di consumo di tutto ciò che veniva prodotto nel triangolo industriale.
Se poi si analizza tutto ciò che è successo, dopo i primi vent’anni di operatività della Cassa per il Mezzogiorno, ci si rende facilmente conto che, come sosteneva lo studioso meridionalista Salvatore Cafiero, scendendo in campo la politica, essa decretò la lenta agonia dell’intervento straordinario e fu “causa principale della corruzione e della lievitazione del debito pubblico a livello nazionale”.

I governi della Regione  che Lei passa in rassegna sono tanti, ma sembra che ci sia un filo rosso che li lega  nonostante appartengano a periodi diversi. Qual è?

Come lei ha potuto constatare, il solo capitolo sul regionalismo rappresenta la metà dell’intero libro, perché ho voluto analizzare, in modo approfondito, da un lato, tutta l’attività dei governi regionali che si sono succeduti nei primi 30 anni di regionalismo, e dall’altro, gli effetti dell’attività dei governatori a partire dal 2000.
Il filo conduttore che lega la politica di governo in questi 42 anni è l’inerzia istituzionale, al di là dei buoni propositi contenuti nei programmi di governo che hanno dato vita a tutti gli esecutivi regionali.
La classe politica regionale, da un lato, non è mai riuscita a trovare la forza di coesione necessaria per consentire alla Calabria di crescere e, dall’altro, è stata la causa unica dei localismi, dell’assistenzialismo e del clientelismo che hanno bloccato la capacità di questa regione di reagire, in modo adeguato, al ritmo dei mutamenti.
I risultati del primo trentennio di regionalismo ci consegnano una regione che ha dovuto subire una continua incertezza politica nell’azione di governo e l’assenza di prospettiva (21 sono le giunte che si sono succedute dal 1970 al 2000, con una vita media degli esecutivi di un anno e mezzo), un processo di programmazione fantasma (enfatizzato nei programmi di governo e mai messo in atto), un cattivo legiferare  (una produzione legislativa sfilacciata ed episodica, tra l’altro, priva di testi unici che avrebbero dovuto consentire un migliore coordinamento delle politiche di sviluppo), una burocrazia parassitaria incapace di adeguarsi al veloce mutare degli eventi imposti dalla globalizzazione, una non volontà, da parte della classe politica regionale, di valorizzare il sistema delle autonomie locali (delegare significa perdere quel potere della gestione della cosa pubblica che è fonte primaria del voto di scambio)
Anche i due primi governatorati (mi riferisco a questi perché hanno completato la loro legislatura) non hanno certamente brillato per stabilità di governo e capacità di realizzare gli impegni assunti rispetto ai programmi presentati all’avvio di ciascuna legislatura. Basti pensare che durante il governo Chiaravalloti si sono succedute tre giunte, mentre durante il governo Loiero sono cambiati quattro esecutivi; non credo che basti l’inamovibilità di un presidente per garantire stabilità di governo e risposte adeguate ai bisogni delle collettività locali.

Nel suo libro sembra che non voglia fare sconti a nessuno, ma c'è qualche maggioranza in Calabria che a suo giudizio ha operato meglio delle altre?

Non sono io che intendo assurgere a moralizzatore del sistema politico-istituzionale della Calabria, sono i risultati che parlano chiaramente.
Nell’ultimo capitolo del libro sono riportati, con chiarezza, gli indicatori sintetici di squilibrio derivati, principalmente, dall’Istat e dall’Eurostat, che fanno della Calabria una regione sempre più periferica e marginale d’Europa, con un livello di competitività ormai inesistente (la globalizzazione non fa sconti ad alcuno).
La stragrande maggioranza di ciò che doveva essere fatto già nella prima legislatura (1970) è rimasta lettera morta fino ad oggi.
Dopo le decine di migliaia di miliardi di vecchie lire dell’intervento straordinario e dei Fondi per le Are Sottoutilizzate e le decine di miliardi di euro provenienti dalle risorse comunitarie, siamo confrontati con una regione che è relegata agli ultimissimi posti nella graduatoria delle regioni europee, superata persino dalla Guadalupa (che è un Dipartimento francese d’Oltremare).
Per quanto riguarda le maggioranze che si sono succedute negli anni, il PSI ha governato per 22 anni, fino al 1992, prima della sua dissoluzione, molto di più della Democrazia Cristiana che andò all’opposizione durante i quattro anni della cosiddetta Giunta rossa (1986/1990), e la riconferma molto spesso degli stessi presidenti dopo ogni crisi di governo, dimostra che il gioco politico (se così possiamo definirlo) stava tutto nelle lotte interne tra questi due partiti dove regnavano alcuni capi-corrente che avevano bisogno di rafforzare il loro potere, in termini di deleghe assessorili,  e di inserimento dell’esecutivo di uomini di loro fiducia.
Quindi, non ritengo, anche sulla base della mia esperienza diretta di dirigente regionale dal 1972 al 1994, di avere assistito ad una maggioranza in grado di dare veri segnali di discontinuità, a parte i grandi buoni propositi della giunta di sinistra, guidata da Rosario Olivo, indebolita, non solo da una maggioranza molto risicata, ma dal continuo ostruzionismo che proveniva non solo dalla DC, ma da tutto un sistema parassitario ed affaristico che si era consolidato all’ombra di quasi tutti gli apparati politico-partitici di quel periodo.

Comunque, alla fine del libro, dopo avere presentato i nodi e le criticità statistico-qualitative della Calabria, Lei da spazio ad un minimo di ottimismo, introducendo dei possibili percorsi per una “nuova” Calabria.
Questo significa che non tutto è perduto?


La flessibilità e velocità con cui si muovono gli eventi, non devono dare spazio all’ottimismo o al pessimismo, ma alla determinazione ed alla capacità di vedere nel lungo periodo, anche perché la Calabria non è un deserto indistinto.
Mettendo in risalto le criticità ed i problemi che si sono accumulati negli anni, non ho voluto non riconoscere che esiste una Calabria sana ed onesta; anzi questo dovrebbe essere un appello per rimboccarsi le maniche in presenza di una situazione così difficile.
Il nostro problema non è quello di rivedere un modello di sviluppo, che non è mai esistito, ma di capire quale potrebbe essere la situazione della Calabria  e dei calabresi, nei prossimi venti, trent’anni.
E’ vero che le variabili derivate dell’esogeneità non sono facilmente controllabili, ma è altrettanto vero che le linee di tendenza di alcuni indicatori nazionali ed internazionali ci dicono, per dare qualche esempio, che la Calabria ha il più alto indice di invecchiamento tra le regioni europee (i giovani stanno scappando sempre più numerosi), un tasso di povertà sempre più elevato, un tasso di competitività sempre più tendente allo zero ed un prodotto interno lordo sempre più derivato dalla politica pubblica (siamo al 75% del totale ci dice la Svimez).
In queste condizioni non è semplice operare, se non si incomincia a comprendere quali sono i percorsi giusti che ci possono portare verso una “nuova” Calabria.
Prima di tutto, occorre un patto tra i calabresi onesti che, prima di appartenere a partiti politici e categorie sociali di varia natura, sono singoli cittadini che credono nel rispetto dei diritti fondamentali e nei valori comuni.
Essi dovrebbero avvertire la responsabilità morale di mettersi insieme, almeno per il bene delle future generazioni, lottando contro gli affaristi, gli speculatori, i mafiosi, i prenditori di contributi pubblici per illeciti arricchimenti personali, le caste burocratico-parassitarie, ecc..
Mi rendo conto che non è facile creare dal nulla una nuova classe dirigente che sappia cogliere le opportunità di un cambiamento reale, perché in Calabria, purtroppo non esiste una sociale civile organizzata, però ciascuno di noi potrebbe impegnarsi a contribuire a creare questo capitale sociale in grado di lottare contro lo strapotere e contro coloro che cercano di vendere come favori, quelli che, invece, sono i diritti di qualunque cittadino.
Non dobbiamo andare lontano per avviare questo processo necessario ed indispensabile per cambiare rotta.
Se andiamo a cercare i motori di un possibile cambiamento li troviamo nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni, nella chiesa, li troviamo in noi stessi.
E’ da lì che dobbiamo partire per costruire insieme, prima di tutto,  un codice etico che sia alla base del rispetto delle regole e della legalità e per avere maggiore coscienza e contezza di che cosa significhi esercizio del potere e rispetto del principio di prossimità.
Infine, è venuto il momento che si ritorni alle origini. Se vogliamo dare alla nostra regione ed a noi stessi la garanzie di un barlume di discontinuità, dobbiamo convincerci che le sviluppo locale è una delle condizioni imprescindibili perché la Calabria possa acquisire un minimo di competitività in questo sistema globale.
Nel contesto del nostro potenziale endogeno troviamo quelle peculiarità, specificità ed unicità che, se opportunamente valorizzate e promozionate, potrebbero rappresentare l’avvio di una riappropriazione  da parte dell’intera collettività regionale di quelle arti e di quei mestieri che abbiamo sacrificato sol perché siamo diventati più istruiti, convinti che lavorare a contratto per 500 euro al mese, è molto più qualificante che dare spazio alla propria creatività in lavori che, pur appartenendo al passato, sono collocabili ormai nei nuovi campi dell’innovazione e della ricerca che consentono, oggi, per esempio, ad un giovane olandese con una laurea ed un master, di esprimere tutta la sua creatività facendo l’artigiano.
Se superassimo almeno questa prima “variabile culturale”, avremmo già fatto un primo passo avanti.
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