Articoli e Interventi >> Il porto di Gioia Tauro tra nodi e prospettive
 
(Quotidiano del Sud del 4 dicembre 2014)
 
Il modello industriale in Calabria degli anni '70 è stato uno strumento politico-clientelare senza precedenti nella storia del sottosviluppo meridionale; una beffa per i calabresi  ed una occasione irripetibile per imprenditori opportunisti e “mazzettari” e per politici che hanno fatto dei finanziamenti a pioggia la loro fortuna, a livello elettorale e personale.
L’intero “progetto industriale” per la Calabria (il cosiddetto Pacchetto Colombo), proposto dal Governo, nel 1970, a seguito dei moti di Reggio Calabria,  prevedeva un investimento complessivo di oltre 1.800 miliardi di lire, a fronte dei quali si sarebbero dovuti creare circa 15.000 posti di lavoro.
Immense risorse  pubbliche vennero destinate per realizzare investimenti ad alta intensità di capitale, rivelatisi, tra l’altro,  inutili ed inquinanti che hanno avuto il solo merito di devastare il territorio e lasciare in eredità ai calabresi, disoccupazione  e devastazione di alcune delle più belle zone della Calabria; basti ricordare che per la costruzione del famigerato V Centro Siderurgico, mai realizzato  (per nostra fortuna), vennero abbattuti 700.000 alberi e trasferiti due bellissimi borghi marini.
Anche se ci sono voluti venti anni ed una montagna di danaro pubblico per realizzarlo (circa mille miliardi di vecchie lire), questa grande infrastruttura portuale  è diventata, comunque, uno dei più grandi terminal per trasbordo merci del Mediterraneo e svolge un ruolo estremamente importante e strategico ai fini dei traffici marittimi, con un movimento merci di circa tre milioni di Teu  (misura standard di volume dei container ISO) all’anno.
Naturalmente, al di là di questo grande ruolo di transhipment,  il porto, anche se con fondali profondi tra i 16 ed i 18 metri, banchine estesissime ed una “bocca d’accesso” per navi di grandissime dimensioni, non avrà alcuna capacità di  “esportare” economia e rafforzare il tessuto produttivo nell’area circostante (attualmente esiste solo un deserto “pieno”  di capannoni vuoti),  se l’intera area su cui insiste questa infrastruttura non si trasforma anche  in un polo logistico che potrebbe diventare il volano per lo sviluppo dell’intera economia calabrese.
Poiché, in parole povere, la logistica è l’insieme delle attività (strategiche, organizzative e gestionali) che governano il  trasporto di prodotti dal luogo di partenza a quello di destinazione, con l’ausilio di servizi tecnologicamente avanzati ed infrastrutture fisiche efficienti, in grado di ridurre i costi di esercizio e di velocizzare i tempi di consegna delle merci, è chiaro che un simile progetto potrà essere avviato solo se verranno rimossi tutti quei vincoli che da decenni continuano a congelare  qualsiasi iniziativa in merito.
Terminal intermodale, strutture per lo stoccaggio, raccordi stradali e ferroviari, costruzione di capannoni da utilizzare per l’apertura dei container e smistamento della merci da trasferire sul mercato via terra, sono tutti segmenti di un grande progetto integrato che fa fatica a partire per una molteplicità di cause, sia di natura burocratico-amministrativa, che di natura istituzionale.
Ci riferiamo, in particolare, allo storico contenzioso  tra la Capitaneria di porto e l’Area di sviluppo industriale (ASI) di Reggio Calabria, ai notevoli ritardi nell’attuazione  dell’Accordo di Programma Quadro (APQ), “Polo logistico intermodale di Gioia Tauro” (circa 500 milioni di euro), sottoscritto (nel settembre 2010) tra i Ministeri competenti, la Regione Calabria, l’Autorità Portuale ed il Consorzio Asi di Reggio Calabria, alla carenza di coordinamento tra i comuni limitrofi al porto e quelli dell’intera Piana, ai ritardi nel completamento della Salerno-Reggio Calabria (il cui costo è stato quantizzato in circa 40 milioni di euro per chilometro!), al fallimento del “Progetto Strategico dell’Area Ampia di Gioia Tauro” che Governo (attraverso i Ministeri dello Sviluppo Economico, dei Trasporti e dell’Ambiente) e Regione Calabria avevano sottoscritto nel 2008, ai  ritardi circa l’adozione del Piano Regolatore Portuale da parte della Regione Calabria e la pubblicazione dei bandi di gara, da parte della Capitaneria  di Porto, e, infine, alla resistenza, da parte della società che gestisce il transhipment che vede, nella logistica, la causa di una possibile riduzione dei propri introiti.
In questa sede, per motivi di spazio, non tratteremo la questione del Rigassificatore, da realizzare nelle vicinanze  del porto,  su cui vige una grandissima misconoscenza (ci sia concesso questo “vezzo” onomaturgico”) sulla natura dell’investimento e sulle importanti ricadute socio-economiche sull’area di riferimento.
Naturalmente, questo non significa che lo sviluppo dell’area di Gioia Tauro sia irreversibilmente compromessa, viste le grandi dimensioni quali/quantitative del porto e le caratteristiche dell’area retro-portuale.
Ciò che conta è rimuovere tutte queste variabili inibitrici, in tempo rapidi, con autorevolezza istituzionale, determinazione, continuità di processo nel sistema di monitoraggio, in ordine all’avanzamento del programma, e “tolleranza zero” nei confronti dei soggetti apportatori di ritardi e/o di distorsioni mirate a sottrarre risorse pubblico a favore di convenienze personali.
Ovviamente, nel contesto dei vantaggi localizzativi, sia le compagnie di navigazione che il sistema impresa,  pretendono delle “garanzie istituzionali” che rendano più sicura l’area, in termini di continuità strutturale e temporale nell’offerta delle  convenienze ad investire e, in particolare, nella difesa contro l’intrusione delle criminalità organizzata.
 
Vincenzo Falcone
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