Articoli e Interventi >> L'impatto zero dei fondi comunitari
 
(Il Quotidiano del Sud del 7 dicembre 2014)
 
Sono passati 40 anni da quando, nel 1975, la Comunità Economica Europea (oggi Unione Europea) avviò, attraverso la cosiddetta politica regionale, il processo di riduzione dei divari tra la regioni meno favorite e quelle più progredite d’Europa.
Naturalmente, la Calabria venne  inglobata tra quelle a cui dovevano essere riconosciute risorse finanziarie aggiuntive, rispetto a quello ordinarie dello Stato, attraverso il cosiddetto Fondo Europeo di Sviluppo Regione (FESR).
Come avviene spesso, grazie  alle “nostre furbizie istituzionali”, mano mano che questi fondi venivano assegnati all’Italia, lo Stato riduceva quelli ordinari e così, quella che doveva essere “l’aggiuntività” si trasformava sempre più in “sostitutività”, svuotando di forza propulsiva gli strumenti e gli obiettivi che si era prefissata la Commissione Europea: consentire alle regioni più deboli di crescere. per evitare il rallentamento nel processo di integrazione europea auspicata già dai Trattati di Roma del 1957.
Dal canto suo, la regione Calabria,   durante i primi dieci anni di vigenza dei Regolamenti comunitari,  imparò l’arte di chiedere il rimborso comunitario non a fronte di nuovi progetti, ma sfruttando quelli già programmati e/o in corso di realizzazione snaturando, di fatto quel principio di addizionalità delle risorse che dovevano servire a contribuire, in modo più rapido ed efficace, al miglioramento della qualità della vita delle popolazioni locali ed al rafforzamento, attraverso opportune azioni di sostegno,  del tessuto produttivo, in particolare, delle piccole e medie imprese e dell’artigianato.
Per evitare il perpetrarsi di una tale “prassi”, a partire dal 1985, le Istituzioni Comunitarie decisero di passare dalla logica dei rimborsi, al processo di programmazione che obbligava gli Stati membri e le regioni a cofinanziare solo progetti individuati nei programmi approvati dalla Commissione Europea.
Si partì con i cosiddetti Programmi Integrati Mediterranei (PIM), per passare, successivamente, ai Programmi Operativi Plurifondo (POP) e, infine ai Programmi Operativi regionali (POR), da ultimo, quello riguardante il periodo 2007/2013.
Purtroppo, anche questo processo venne turbato da una serie di criticità che hanno impedito a tali risorse di avere un impatto significativo rispetto ai due grandi obiettivi che ci si era prefissati.
Gli effetti negativi dei risultati conseguiti sono da attribuire, in particolare alla lentezza con la quale si riuscivano a spendere le risorse, da parte dei beneficiari finali, alla cattiva qualità della spesa, alla carenza ed inefficacia dei controlli di primo e secondo livello che si sarebbero dovuti operare, a livello regionale e, cosa più grave, all’utilizzo dei fondi, nella maggior parte dei casi, per realizzare opere inutili e sicuramente non idonee per aiutare la regione ad uscire dallo stato di marginalità rispetto alle regioni più progredite d’Europa.
Occorre sottolineare, anche che a partire dal 1987, con l'avvento della programmazione comunitaria, l’obiettivo della costruzione di un processo di piano generale, a livello regionale,  venne completamente accantonato.
Questo carattere “sostitutivo” dei programmi cofinanziati dall’Unione Europea, creò (e continua tuttora a creare) delle distorsioni e delle perversioni, nell’uso dei finanziamenti disponibili, in quanto le risorse comunitarie vengono ormai utilizzate per sopperire alle mancanza di risorse regionali, inizialmente finalizzate alla realizzazione di investimenti produttivi, ma, successivamente, divorate dalle spese correnti e/o da quelle destinate a soddisfare esigenze clientelari.
Nel riservarci di approfondire, in altre occasioni, gli effetti perversi on ordine all’utilizzo delle risorse comunitarie sia a livello pubblico, che a livello privato, ci preme sottolineare, in questa sede, che se facciamo un rapido calcolo delle risorse assegnate Calabria, attraverso i fondi comunitari, esse dovrebbero aggirarsi intorno ai 12 miliardi di euro e l’Eurostat ci dice che il tasso medio annuo di crescita del PIL regionale è stato dello 0,9%, quasi un terzo della media dei tassi di crescita del PIL delle altre regioni europee (2,3%), relegando la Calabria, al 205° posto, tra tutte le 268 regioni d’Europa, ed all’81° posto  tra le 84 regioni europee considerate in ritardo di sviluppo.
Nell’ ultimo documento elaborato, per conto della Commissione Europea, da parte del Joint Research Centre e dell’Institute for the Protection and Security of the Citizen, sulla “Competitività Regionale”, la Calabria è stata declassificata al 222° posto, superata da tutte le regioni dei Paesi pre-allargamento, ad eccezione dell’Anatolia Macedone, della Guiana francese e dell’isola di Reunion (Dipartimenti Francesi D’oltre Mare).
Un ottimo primato!
Se si considerano, poi, gli indicatori “innovazione e ricerca” e “la vitalità economica del  tessuto produttivo”, la Calabria si colloca all’ultimo posto.
Questo significa che la programmazione comunitaria si è rivelata un fallimento rispetto ai risultati che si sarebbero dovuti conseguire, proprio perché non si è stati capaci di predisporre dei progetti che superassero  il piccolo confine dei territori comunali.
I tentativi di realizzare interventi a carattere sovra-comunale o regionale si sono scontrati con una semplice realtà: non esistono progetti di tale natura; la Regione Calabria ha sempre preparato buoni documenti programmatici ma ha sempre fallito nella fase attuativa perche è mancato un “progettificio” significativo in grado di superare l’emergenza e la straordinarietà (e gli ingegneri, nei dipartimenti regionali, certamente non mancano!).
Oggi ci troviamo di fronte ad un POR 2007/2013, menomato nella sua dimensione finanziaria, con un basso livello di spesa,  e costretto ad utilizzare i progetti dell’Anas e delle Ferrovie dello Stato, per sopperire alla carenza di progetti di un certo rilievo, con l’aggravante che i rimborsi comunitari vengono fagocitati da questi Enti che avrebbero, comunque, dovuto realizzare le opere programmate con fondi ordinari (questa ulteriore “furbizia”, l’abbiamo definita “aggiuntività sostitutiva”)
La nuova programmazione comunitaria 2014/2020, non solo non è ancora partita per strane e complicate procedure a livello nazionale, ma prevede contributi nazionali ridotti rispetto alla dotazione comunitaria di circa 1,8 miliardi di euro, in nome della “revisione della spesa pubblica (spending review).
“Cerchiamo di non guardarci indietro con rabbia o in avanti con paura, ma intorno con consapevolezza” (James Grover Thurber).

Vincenzo Falcone
*Già Segretario Generale del Comitato delle Regioni dell’Unione Europea e Docente Universitario

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