Articoli e Interventi >> Le fondamenta, i pilastri e gli strumenti del Buon Governo
 
Quotidiano del Sud del 3 gennaio 2015

Durante la nostra decennale esperienza maturata a Bruxelles  presso il Comitato delle Regioni,  abbiamo cercato, attraverso un'apposita commissione, di studiare le migliori pratiche di buon governo adottate nell'ambito delle 262 regioni dell'Unione Europea, la cui popolazione ormai supera, con i suoi 28 Stati Membri, i 505 milioni di abitanti.
Senza entrare nel merito dell'articolazione sub-statuale  di ciascun  Paese, caratterizzato da collettività locali  territoriali molto differenti le une dalle altre, abbiamo voluto sintetizzare,  in questa sede, i principali segmenti che hanno consentito e consentono tuttora, in alcuni di questi territori, il raggiungimento di ottimi risultati, sia in termini  di crescita strutturale, che di sviluppo sostenibile.
Partendo dalle "fondamenta", abbiamo constatato che le Regioni più virtuose hanno, come substrato, un solido amalgama di componenti in grado di garantire la stabilità del “manufatto”.
Ci riferiamo, in particolare, alla buona qualità della produzione normativa, apportatrice di programmi settoriali completi, efficaci ed efficienti, accompagnati da testi unici e da “terminali legislativi" e/o amministrativi capaci di coordinare, controllare e misurare l'impatto delle azioni intraprese.
Il secondo segmento è costituito dalla istituzionalizzazione di un processo di programmazione  globale, stabile, duraturo e, naturalmente, flessibile all'interno del quale inserire, in termini aggiuntivi e non sostitutivi, tutti gli eventuali strumenti di piano parziali quali, ad esempio, quelli comunitari e/o straordinari,
Il terzo segmento è rappresentato dalla condizione imprescindibile, a livello etico/culturale, sia della piena applicazione del principio di prossimità (prendere le decisioni il più possibile vicino ai cittadini), che della continuità ed efficacia delle relazioni  interistituzionali tra i vari livelli di governo statale, regionale e locale, nel contesto di una chiara ripartizione delle loro competenze e di una suddivisione trasparente delle loro rispettive responsabilità.
Il quarto segmento riguarda il giusto utilizzo delle risorse pubbliche che sono di proprietà esclusiva del contribuente e non di chi governa e, quindi, non possono e non devono essere distratte e sprecate per fini diversi da quelli relativi al miglioramento della qualità della vita dei cittadini ed al rafforzamento del sistema produttivo.
Naturalmente, le fondamenta sono solo i potenziali fattori di stabilità dentro le quali devono essere inseriti forti e stabili “pilastri” di mantenimento dell’intera architettura istituzionale.
Tra questi, abbiamo riscontrato l’eccellente qualità dell’apparato amministrativo, adeguatamente e permanentemente  formato, per far fronte ai mutamenti generati dalla fluidità degli eventi imposti dalla globalizzazione (e con competenze istituzionali garantite da precise norme, in grado di contrastare eventuali scelte politiche non coerenti con il metodo del buon governo), l’istituzionalizzazione della cosiddetta “amministrazione intelligente” (attraverso la quale realizzare ed utilizzare, pienamente, tutte le “infrastrutture immateriali” per migliorare e velocizzare l’erogazione dei servizi a favore dei cittadini), il rafforzamento del partenariato tra il settore pubblico e quello privato ed  una migliore capacità di misurazione dei costi amministrativi.
Le regioni o collettività locali che hanno raggiunto questi risultati soddisfacenti, hanno operato tenendo conto di alcune indicazioni suggerite dalle Istituzioni Europee, dopo gli scarsi risultati del programma di riforme economiche approvato a Lisbona dai Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea, nel 2000 (la cosiddetta “Strategia di Lisbona”), il cui obiettivo prioritario era quello di fare dell'Unione “la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010”.
Le Istituzioni Europee, infatti, a metà percorso, si erano rese conto di avere sottovalutato  l’importanza strategica di alcuni strumenti  necessari ed indispensabili per il rilancio di una crescita a lungo termine, quali, ad esempio, il maggiore peso degli  investimenti nel settore dell’innovazione e della ricerca, una migliore adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei servizi pubblici, nelle famiglie e nelle PMI (con relative misure di accompagnamento), una maggiore valorizzazione del capitale umano, una più sana politica di bilancio ed una migliore rete  interattiva della società civile.
Se il modello di crescita della Calabria, venisse inserito in questa logica, puntando sulle priorità e sui settori più sensibili rispetto alle sue vocazioni (senza perderci nella fallimentare “tuttologia” praticata in questi 45 anni di regionalismo), forse, con la partecipazione di tutti gli attori direttamente interessati a tale processo,  potremmo aspirare a ridurre concretamente la disoccupazione, la povertà ed il lavoro nero che stanno distruggendo il tessuto socio/economico regionale.
Noi non abbiamo l’abitudine di prendere per “oro colato” quello che si dice in Europa che ha dimostrato, in alcuni casi, di non essere in grado di far fronte alle sfide della globalizzazione, tuttavia, una corretta politica di coesione, nelle tre dimensioni economica, sociale ed ambientale, potrebbe aiutarci  a creare le condizioni per una crescita più intelligente, sostenibile e solidale di una regione periferica come la Calabria.
Qualcuno ci potrà rispondere  che ci sono “cose più urgenti da fare” rispetto a quello che noi diciamo, ma queste “cose”, figlie della continua emergenza che attanaglia da sempre la Calabria, pur se assolutamente importanti per ridurre le tensioni sociali e la straordinarietà degli eventi che ci assillano, hanno rappresentato e rappresentano, comunque, un palliativo che mai potrà consentire l’avvio processo di  sviluppo sostenibile  in grado di creare un “ambiente” più sano  e più competitivo da proporre alla nuove generazioni.   
 
Vincenzo Falcone  
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