Articoli e Interventi >> IL FALLIMENTO DELLA PROGRAMMAZINE COMUNITARIA IN CALABRIA
 
Il Quotidiano del Sud del 26 settembre 2015 

Sono circa tredici i miliardi di euro assegnati alla Calabria nel contesto della politica regionale comunitaria, negli ultimi 40 anni.
Un ammontare di risorse finanziarie non certo trascurabili che, purtroppo, non hanno prodotto alcun impatto sul tessuto sociale ed  economico della regione, a causa di una serie di iniziative scorrette e incoerenti, sia un termini programmatici che gestionali, da parte del governo nazionale, della regione e degli stessi enti locali.
Come abbiamo avuto modo di evidenziare, su questo stesso giornale, alcuni mesi fa, infatti, le “furbizie istituzionali” divennero immediatamente il modus operandi, a livello italiano, per trasformare, da subito, i fondi comunitari in risorse sostitutive, anziché aggiuntive, svuotando di forza propulsiva gli obiettivi comunitari finalizzati a ridurre i divari tra le regioni ricche e quelle meno sviluppate dell’Unione Europea. 
In effetti, mano mano che questi fondi venivano assegnati all’Italia, lo Stato riduceva quelli ordinari e così, il processo di “aggiuntività”, che doveva costituire il fattore innovativo della politica comunitaria, si  trasformava sempre più in “sostitutività”.
In più, la metà delle risorse destinate alle regioni del Mezzogiorno, veniva trattenuta dallo Stato per la realizzazione di “programmi multiregionali” attraverso i quali, però, venivano finanziate opere anche al di fuori dei territori meridionali.
Tale situazione era aggravata dalla mancanza di raccordo e di coordinamento tra i ministeri interessati (Lavoro e Formazione, Politiche Comunitarie e Mezzogiorno) e tra il livello centrale e le regioni destinatarie dei fondi strutturali (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, Fondo Sociale Europeo e Fondo Agricolo di Orientamento e Garanzia).
A livello calabrese, la regione, durante i primi dieci anni di vigenza dei Regolamenti comunitari,  imparò l’arte di chiedere il rimborso comunitario non a fronte di nuovi progetti, ma sfruttando quelli già programmati e/o in corso di realizzazione snaturando, di fatto, anche in questo caso, quel principio di addizionalità delle risorse che dovevano servire a contribuire, in modo più rapido ed efficace, al miglioramento della qualità della vita delle popolazioni locali ed al rafforzamento, attraverso opportune azioni di sostegno,  del tessuto produttivo, in particolare, delle piccole e medie imprese e dell’artigianato.
Anche dopo l’avvio del processo di programmazione comunitaria (a partire dal 1985), che sostituì il cosiddetto metodo a rimborso, le cose non migliorarono in quanto Stato e Regioni, cominciarono ad  impantanarsi in lunghe ed estenuanti procedure di elaborazione dei programmi regionali e nazionali che, poi, si dimostravano, di difficile gestione operativa.
        In Calabria, cosa ancora più grave, a partire dalla fine degli anni ‘80,  l’obiettivo della costruzione di un processo di piano generale venne completamente accantonato, mentre le risorse comunitarie, al di là dei “simpatici” acronimi assegnati a questi programmi (PIM, POP, POM, POR, PRS e PON) venivano utilizzate per sopperire alle mancanza di risorse regionali, ormai divorate dalle spese correnti o improduttive.
Si istituzionalizzarono, così, delle procedure perverse che trasformarono i programmi comunitari, prevalentemente, in strumenti di puro sostegno dei localismi  e delle esigenze clientelari.
Ci riferiamo, in particolare, alla eccessiva lentezza e cattiva qualità della spesa, alla carenza ed inefficacia dei controlli di primo e secondo livello che si sarebbero dovuti operare, a livello regionale e, cosa più grave, alla realizzazione di opere inutili, prive di impatto sociale, economico, territoriale ed ambientale.
I dati Eurostat ci dicono, infatti, che il tasso medio annuo di crescita del PIL calabrese, anche in presenza delle risorse comunitarie, è stato dello 0,9%, quasi un terzo della media dei tassi di crescita del PIL delle altre regioni europee (2,3%).
Inoltre, nell’ultimo documento presentato dalla Commissione Europea, la Calabria è stata classificata al 222° posto, sulle 268 regioni europee, superata da tutte le regioni dei Paesi pre-allargamento, ad eccezione dell’Anatolia Macedone, della Guiana francese e dell’isola di Reunion (Dipartimenti Francesi D’oltre Mare): un vero primato!
I tentativi di realizzare interventi a carattere sovra-comunale o regionale si sono sempre scontrati con una semplice realtà; la Regione Calabria ha sempre preparato buoni documenti programmatici ma ha sempre fallito nella fase attuativa perche è mancato un “progettificio” significativo, in grado di elevare la qualità della spesa.
La situazione diventa ancora più allarmante se si considera che, in Calabria, non solo si perdono le risorse per incapacità di spesa ( vedi i 700 milioni di euro che si perderanno entro il 31 dicembre di quest’anno), ma, a livello nazionale, si tende a ridurre la dimensione finanziaria complessiva dei Programmi Operativi Regionali.
Basti pensare che il POR 2007/2013 è stato ridotto di quasi la metà, rispetto alla sua dotazione finanziaria iniziale, mentre, il nuovo POR 2014/2020, non solo non è ancora partito per strane e complicate procedure a livello regionale e nazionale, ma è stato già ridotto di 900 mila euro, in quanto il governo nazionale ha deciso di cofinanziare il programma, non più al 50%, rispetto alle risorse comunitarie, ma al 25%, portandolo da 3,6 a 2,7 miliardi di euro.
Questo significa che, con riferimento al periodo 2007/2020, sono stati bruciati, per cause diverse, circa 1.500 milioni di euro che si sarebbero dovuti investire in Calabria.
Naturalmente, questo stato di cose non è certamente addebitabile al nuovo Governatore, ma il rischio che anche queste risorse finanziarie  possano diventare  oggetto di sprechi e di  abusi è molto elevato, in quanto non esistono, ad oggi, strumenti innovativi, dal punto di vista giudico, amministrativo e tecnico che possano stimolare un processo di discontinuità rispetto al passato.
Quello possiamo consigliare al Presidente Oliverio è di non "isolare"  il POR 2014/2020, come è stato fatto, finora, dai suoi predecessori nei confronti degli  altri POR, ma di inserirlo in un “insieme funzionale” unitamente a tutti  gli altri interventi, di natura ordinaria e straordinaria, attivando uno stretto coordinamento interdipartimentale ed un continuo  monitoraggio del processo di avanzamento di tutta la progettualità programmata o in corso.
 
Vincenzo Falcone
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