Articoli e Interventi >> Perche la Calabria non cresce |
Il Rapporto Svimez ci conferma come la Calabria continua ad essere una regione alla periferia della povertà, immobile, vecchia e controcorrente, anche rispetto a qualche timidissimo segnale di ripresa del Mezzogiorno. Senza addentrarci nelle analisi statistiche, già abbondanti, sullo stato di salute delle regioni meridionali, le conclusioni che possiamo trarre, in relazione alla Calabria, è che le sue criticità strutturali sono veramente preoccupanti: altissimo livello di disoccupazione, reddito medio pro-capite più basso d’Italia, esportazioni sotto l’1% rispetto al dato nazionale, un sistema produttivo poco competitivo, una scadente qualità della vita, un tenore di vita molto basso, la percentuale di lavoro nero più alta d'Italia ed una criminalità sempre più forte e dilagante; quindi, un territorio non certamente interessante per gli investitori extraregionali. Questo contesto viene aggravato da una serie di “variabili di sistema” molto negative quali l’assenza di una strategia organica sui sistemi di controllo, una società civile che fa fatica ad organizzarsi, una scarsa propensione all’associazionismo ed alla cooperazione, le famiglie indebolite dall’altissima emigrazione dei giovani laureati che non trovano lavoro, una scuola “debole” ed una chiesa silenziosa. Come è possibile constatare, questi gravi handicap non possono essere ridotti o eliminati con terapie tradizionali, né in tempi brevi. I mali antichi sono tanti e le criticità strutturali accumulate in questi 45 anni di regionalismo sono tantissime. Basti pensare che, oggi, l’Istituto regionale è confrontato con una cattiva e farraginosa legislazione (sia in termini di norme-quadro che settoriali), dall'inesistenza di un programma generale di sviluppo, dall'assenza di un proficuo collegamento interistituzionale tra la regione e gli enti locali, da una burocrazia non specializzata, lenta e non al passo con il ritmo dei mutamenti e dalla presenza di società partecipate ed enti strumentali che continuano a divorare quelle pochissime risorse libere a disposizione della regione, costretta a ripianare, annualmente, le loro passività di bilancio. Questa nostra riflessione non deve essere considerata come una propensione ad abbracciare la “teoria delle catastrofi”, ma una semplice constatazione della realtà. Istat e Svimez ci dicono che, specialmente questi ultimi 15 anni sono stati i peggiori, in ordine alla non crescita del Mezzogiorno ed Eurostat, unitamente alle analisi previsionali di lungo periodo della Commissione Europea, ci presenta un trend dei prossimi 15 anni non certo molto allettante, soprattutto per quanto riguarda le regioni meno sviluppate dell’Unione Europea, ormai strette ed immobilizzate nella morsa dell’allargamento e della globalizzazione. La Calabria è collocata al 228° posto rispetto alle altre 270 regioni europee, per quanto riguarda il reddito medio pro-capite, agli ultimissimi posti per quanto concerne “l’indice di potenzialità” (che cumula, in media, i quattro indicatori “benessere economico”, “occupabilità”, “ricerca innovativa” e “istruzione”) ed ai primissimi posti in relazione all’indice di invecchiamento. Ciò non significa che bisogna rassegnarsi e rimanere inermi, ma non possiamo non sottolineare che per bonificare un simile contesto, occorre un metodo di governo rigoroso e non dispersivo che aggredisca queste criticità strutturali, unitamente alla identificazione di quegli strumenti istituzionali ed operativi in grado di incidere sui settori più sensibili, per avviare un reale processo di sviluppo sostenibile e di crescita strutturale. Poiché, naturalmente, questa grave crisi non si può superare in una sola legislatura, occorre che chi è chiamato a governare questa regione sia veramente in grado di individuare i veri obiettivi generali (di lungo periodo) e specifici (di breve e medio termine), nella consapevolezza che la refrattarietà del sistema Calabria potrà essere affrontato eliminando, prima di tutto, i vincoli più aggressivi rispetto alla volontà di cambiamento e convincersi che i segnali di discontinuità non si ottengono solo richiedendo più danaro che, poi, non si riesce a spendere. Ad esempio, come può il POR 2014/2020 raggiungere gli obiettivi prefissati se mancano buone leggi di settore e testi unici per consentire al sistema impresa di utilizzare a pieno e velocemente le risorse disponibili, nel rispetto delle regole imposte dalla Commissione Europea?. Come si possono spendere tali risorse per la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture immateriali, in presenza di una burocrazia lenta e di una carenza di governance multi-livello (Stato, Regione ed Enti Locali) che ritarda, in modo consistente, il processo di spesa?. I calabresi sono scontenti, smarriti e sfiduciati per come vanno le cose nella loro regione; lo dimostra la disaffezione al voto sempre più marcata durante le elezioni regionali (siamo passati dal 81,87% del 1970, al 44,07% del 2014). Sono stufi di sentir parlare, da oltre 45 anni. di task forces, di comitati, di accordi preparatori, di protocolli d’intesa e continuare ad ascoltare i soliti proclami, promesse di cambiamento immediato, buoni propositi e “perifrastiche attive”. Registriamo un bombardamento di informazione che enfatizza i piccoli successi o la realizzazione di progetti già in via di maturazione, in quanto avviati (bene o male) dai precedenti governi regionali, mentre constatiamo una carenza di comunicazione. Se si vuole ridurre il deficit di fiducia tra le istituzioni ed i cittadini, occorre dialogare con la gente, consultarla e renderla partecipa su quello che si fa: il cambiamento non si proclama, occorre attuarlo, rendendolo visibile e, soprattutto, comprensibile. La gente pretende di sapere cosa sta facendo e cosa farà, in concreto, il governo regionale, per aiutare le famiglie, per migliorare il sistema educativo, per rafforzare il sistema impresa, per affrontare le gravi questioni sociali e non solo quelle sanitarie. Purtroppo, è già passato un anno di legislatura e la Calabria è ancora ferma al palo. Vincenzo Falcone |
Guida all'iniziativa dei cittadini europei |
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Con l’introduzione, il 1 aprile 2012, del diritto d’iniziativa per i cittadini europei, l’UE ha compiuto un notevole passo avanti nei confronti della democrazia partecipativa! Da allora, sono state preparate oltre 20 iniziative, di cui due hanno già superato le soglie richieste, e raccolte oltre cinque milioni di firme — a dimostrazione del fatto che i cittadini stanno utilizzando il nuovo strumento.
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LA BUONA POLITICA E IL BENE COMUNE |
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PROGETTO DI LEGGE "Sistema integrato regionale di protezione civile. Istituzione dell'Agenzia regionale di protezione civile" |
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Progetto Protezione Civile e Comuni in Calabria |
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Non solo soldi per rilanciare il Sud |
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