Articoli e Interventi >> La Calabria, questa sconosciuta?
 
Ogni qualvolta la Svimez pubblica i dati sul Mezzogiorno, e cioè ogni anno, quasi tutti  si  meravigliano e si allarmano come se il degrado che stanno subendo le regioni meridionali, specialmente in questi ultimi venti anni, fosse una novità o un evento imprevisto.
Tra l’altro, periodicamente, non solo la Svimez continua a presentare un Mezzogiorno sempre più lontano dalle prospettive di una crescita strutturale ed  autopropulsiva; basta leggere, anche, i dati  dell’Istat, dell’Eurostat, del CNEL, di Bankitalia, di Unioncamere, del Censis e dell’Istituto Tagliacarne  per avere una visione chiara circa lo “sviluppo frenato” delle  regioni meridionali a livello sociale, economico, territoriale, ambientale e culturale.
Ma, al di là delle statistiche, è assolutamente incomprensibile che chi ha ruoli di governo, ai diversi livelli istituzionali, debba conoscere dall’esterno i problemi che affliggono il territorio e la società da loro amministrati.
Lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo le analisi della Svimez, sostiene che si è pagati per risolvere i problemi al di là dei piagnistei; però solo adesso scopre, anche lui, il Mezzogiorno e anche lui, dunque, più degli altri, è pagato per risolvere i problemi.
Capisco che non è facile comprende i problemi dell'ex Regno delle due Sicilie per chi discende dal Granducato di Toscana ma, chi governa una nazione, se questi  problemi non li conosce, deve andare a scuola ed apprendere da chi ne sa più di lui.
Le questioni  legate alla riduzione del divario tra Nord e Sud  non sono una marginalità da trattare come se fosse un evento occasionale.
La questione Mezzogiorno è la questione principe dell'Italia che non sarà mai competitiva sullo scenario internazionale, se continuerà a camminare a due velocità.
Lo stesso rapporto Sapir, commissionato da Romano Prodi, quando era Presidente della Commissione Europea, nel 2002, ad un gruppo di esperti internazionali, sottolineava, tra l’altro, come
lo sviluppo del Mezzogiorno era  frenato, rispetto ad altre macro aree
dell’Unione, a causa dell’assenza di strutture socio-economiche indipendenti, di una burocrazia lenta e non al passo con in tempi, della istituzionalizzazione di provvedimenti tampone, al posto di un programma nazionale unitario e condiviso, e della presenza dirompente della criminalità organizzata.
Chi scrive segue, da circa 40 anni, i lavori della Svimez e, puntualmente, ogni anno, registra che, appena vengono fuori i dati, chi si meraviglia di più è la maggior parte della classe politica che dà l’impressione di vivere in un’altra galassia o di governare un altro pianeta.
Così, per qualche settimana, i vaniloqui politico-mediatici e quelli pseudo-scientifici  inondano tutto il mondo dell’informazione per poi mettere il tutto nel dimenticatoio, dopo qualche mese.
Anche a livello regionale succede la stessa cosa.
Il Presidente Oliverio cavalca la scena politica calabrese da oltre 35 anni e reagisce ai dati Svimez come se avesse appreso solo adesso la gravità dei problemi del Sud.
Il Governatore dovrebbe ricordare che, a partire dall’intervento straordinario, la Calabria è stata  la regione più studiata rispetto anche alle  altre regioni del Mezzogiorno e dovrebbe essere, quindi, la più conosciuta.
Non ci riferiamo solo ai dati elaborati della Cassa per il Mezzogiorno, ma anche agli studi interni che l’Istituto regionale ha commissionato, in questi 45 anni di vita, per un confronto serrato con il Governo nazionale, in ordine ai problemi della Calabria, mai risolti a livello centrale.
Ricordiamo tutte le analisi e le informazioni a monte del “Piano di Emergenza” elaborato, durante la presidenza di Pasquale Perugini, nel 1975; quelle predisposte durante la Presidenza di Bruno Dominijanni agli inizi degli anni ’80; la “relazione programmatica” presentata da Francesco Principe al Presidente del Consiglio Craxi nel 1986;  “lo stato sulla spesa pubblica regionale” presentata al Governo durante la Presidenza di Guido Rhodio nel 1992, e senza dilungarci oltre,  il “Tavolo Calabria”, promosso dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, durante la Presidenza di Agazio Loiero (2006);  a tutto ciò bisogna aggiungere le innumerevoli “task forces” sulle diverse “Vertenze Calabria” (in particolare sull’occupazione e sulle aree industriali in crisi) coordinate, a livello interministeriale, dall’On. Gianfranco Borghini.
Noi riteniamo che sulla Calabria esistano tutte le informazioni necessarie per avviare un programma strategico intersettoriale di medio e di lungo periodo, senza inventare nulla di nuovo.
Con le informazioni  e le statistiche a disposizione si può, infatti, comporre un modello di sviluppo, attraverso il quale, imboccare la giusta via per poter valorizzare tutto il potenziale endogeno e le peculiarità che caratterizzano il sistema regionale calabrese.
Visto, piuttosto, il “fallimento storico” delle relazioni con il Governo, siamo convinti, ormai, che il futuro ce lo dobbiamo costruire con le nostre mani: noi non dobbiamo questuare, ma dobbiamo diventare protagonisti attivi del nostro sviluppo, dimostrando una concreta capacità progettuale nel contesto di una “pulizia implacabile” contro l’illegalità e l’intreccio tra la politica e gli affari.
 
Vincenzo Falcone
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