Articoli e Interventi >> Con le sole parole non si può programmare
 
Quando il Presidente della Regione Mario  Oliverio, commentando le ultime analisi della  Svimez sulla situazione socio-economica delle regioni del Mezzogiorno, sostiene, tra l'altro, che spetta alle classi dirigenti meridionali esprimere tutto "il potenziale di forza programmatica...", dice una cosa "buona e giusta".
E quando, poi, sottolinea che “i segnali della ripresa devono passare anche dalla Calabria con strumenti di programmazione e ripartizione delle risorse in grado di impegnare cervelli, intelligenze e giovani lavoratori in fuga”, dice una cosa ancora "più buona e più giusta".
Ma, come tutti ben sappiamo, una cosa è dire ed un'altra cosa è fare, atteso che il processo di programmazione in Calabria non è mai stato avviato e l'Istituto regionale  non è mai riuscito a dotarsi di un vero piano regionale di sviluppo.
Anche se lo statuto regionale e tutti i documenti politico-programmatici, sottoscritti dai partiti di maggioranza, in occasione della elezione dei vari Presidenti e dei componenti delle Giunte, ne hanno sempre esaltato la sua indispensabilità, la classe politica regionale non ha fatto alcuno sforzo per avviare tale processo, in quanto, come è noto,  la programmazione impone regole ben precise, a livello di responsabilità dei soggetti coinvolti, di strumenti da adottare, di risorse finanziarie da utilizzare, di lotta al clientelismo, di riduzione degli sprechi e di vincoli agli intrecci tra politica ed affari.
Naturalmente, ordinare un insieme di regole necessarie per guidare e rendere trasparente la politica economica regionale, non solo nel breve, ma anche nel medio e nel lungo periodo, non è mai stata una vera “vocazione” della maggior parte della classe politica.
Non a caso, tutti i timidi e pochissimi  tentativi per elaborare un piano regionale di sviluppo sono puntualmente falliti.
Ci provò, nel 1973, il primo Presidente della Regione Calabria, Antonio Guarasci,  con la presentazione di una bozza di “Ipotesi di piano di sviluppo” (nel contesto dello "Schema Generale di Sviluppo della Regione Calabria  1966/70” elaborato dal Comitato Regionale per la Programmazione Economica).
Il documento venne abbandonato a seguito della sua prematura scomparsa.
Ci provò anche il Presidente Aldo Ferrara nel 1977, su spinta del PCI (era il periodo "delle larghe intese"), con  un “Documento di avvio per la programmazione dello sviluppo economico della Calabria”, successivamente messo da parte, a causa delle frequenti crisi di giunta.
Neanche la legge nazionale n.335/77 e la prima normativa regionale in materia di bilancio (legge regionale n.5/78) riuscirono stimolare il livello politico ad avviare un reale processo di piano.
Le stesse “Linee programmatiche regionali di sviluppo economico” approvate, nel 1982, dalla Giunta presieduta da Bruno Dominijanni, su iniziativa dell'allora Assessore alla Programmazione e Affari Comunitari, Carmelo Pujia, vennero congelate in attesa di “tempi migliori”.
Il “Piano territoriale regionale di coordinamento”, la cui elaborazione venne affidata, nel 1984, dalla Giunta regionale ad un gruppo di lavoro misto composto dai rappresentanti delle due università calabresi (l’Università della Calabria e l’allora Facoltà di urbanistica dell’Università di Reggio Calabria), non vide mai la luce.
L’unico documento di piano approvato dal Consiglio regionale, nel 1989, fu il “Quadro Generale di Riferimento” adottato, due anni prima, dalla giunta presieduta da Rosario Olivo, su Proposta dl Vicepresidente Franco Politano.
Anche questo elaborato rimase lettera morta.
A partire dal 1987, con l'avvento della programmazione comunitaria, l’obiettivo della costruzione di un processo di piano regionale venne completamente accantonato.
La programmazione dei fondi comunitari, sebbene fosse limitata ai settori imposti dai regolamenti istitutivi dei fondi strutturali, si sostituì completamente alla programmazione regionale che avrebbe dovuto, invece, inserire gli strumenti di piano comunitari  in un processo molto più ampio di sviluppo sostenibile della Calabria.
Questo carattere “sostitutivo” dei programmi cofinanziati dall’Unione Europea, ha creato,  e crea tuttora, delle distorsioni e delle perversioni, nell’uso dei finanziamenti disponibili, in quanto le risorse comunitarie vengono ormai utilizzate per sopperire alle mancanza di risorse regionali, inizialmente finalizzate alla realizzazione di investimenti produttivi, ma, successivamente, divorate dalle spese correnti e/o da quelle dettate dalla emergenza e dalla straordinarietà.
Così, le risorse del PIM (Programma Integrato Mediterraneo) Calabria, dei  POP (Programmi Operativi Plurifondo) e dei POR (Programmi Operativi Regionali) sono state polverizzate, in questi ultimi 30 anni di politica regionale, in una miriade  di progettualità insignificante ed improduttiva.
A ciò occorre aggiungere l'assenza di una normativa di base in grado di consentire l'avvio di un vero processo di piano, a livello regionale. 
Anzi, l'unica legge, approvata nel 1987, che riguardava le procedure della programmazione regionale e la costituzione dell' Ufficio del Piano, è stata abrogata e sostituita da una legge sconclusionata sulla programmazione comunitaria.
Oggi più che mai, quindi, anche alla luce dell'analisi impietosa della Svimez che presenta un Mezzogiorno alla deriva, dove i consumi e gli investimenti continuano a calare, in particolare, da oltre 7 anni, con conseguente desertificazione dell'apparato economico di tutte le regioni meridionali (“incapaci, ormai, di rimanere ancorate allo sviluppo del Paese”), non bastano più le parole ed i proclami.
Occorrono delle idee guida  credibili ed affidabili, delle strategie corrette ed un metodo di lavoro stabile e duraturo. 
Occorre un disegno organico per capire, in che termini, le peculiarità e le specificità della nostra regione  possano diventare l'ultima frontiera per assicurare alla stessa un minimo di competitività e di autopropulsione.
 In caso contrario, la Calabria, la cui ricchezza prodotta dipende, per circa tre quarti dalla politica pubblica, correrà il rischio di entrare, prima delle altre regioni del Sud, in una spirale di emarginazione strutturale e di eterno sottosviluppo, e collocarsi, persino, in una eterna "periferia della povertà".          

Vincenzo Falcone
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